Art Licensing e IP nel mondo digitale

Licensing Italia ha intervistato l’avvocato Gilberto Cavagna di Gualdana dello studio legale BIPART, specializzato nella valorizzazione e protezione dei diritti di proprietà intellettuale e dell’arte

Lo Studio fornisce assistenza a clienti nazionali e internazionali in materia di marchi e nomi di dominio, design, brevetti e segreto industriale, concorrenza sleale, diritto d’autore e software, diritto dell’arte e dei beni culturali, concorrenza, diritto della pubblicità, dei media e dello sport.

Gilberto Cavagna di Gualdana
Gilberto Cavagna di Gualdana

Licensing Italia: Fondato nel 2022, BIPART ha ottenuto il premio come Miglior Studio Legale dell’Anno nella categoria Arte in occasione dell’undicesima edizione dei Legalcommunity IP&TMT Awards 2023. Una case history vincente per un giovane studio legale specializzato. Quali sono i segreti di questo successo?

Gilberto Cavagna di Gualdana: Siamo molto orgogliosi di questo riconoscimento, è per noi una delle prime conferme del fatto che stiamo andando nella giusta direzione. Nati da un anno – era il primo aprile del 2022 – abbiamo costituito uno studio che fosse “parte e dalla parte” delle persone e delle società che rappresenta, come suggerisce il nome (che è l’acronimo di “Beyond Intellectual Property and ART law) e che aiutasse i nostri clienti (tra cui artisti, gallerie, case d’asta, banche, artisti, fondazioni…) nella valorizzazione dei loro diritti e a crescere su solide basi giuridiche.

Passione, specializzazione e dedizione sono i pilastri su cui fonda lo studio, che può avvalersi di professionisti giovani e validi, come Sofia Kaufmann, e di una rete di contatti esteri consolidata.

Ci dedichiamo ad ogni questione con attenzione ed entusiasmo, cercando di “entrare” nelle problematiche sottese e di conoscere al meglio il cliente e le sue aspettative, dedichiamo tempo ed energie all’approfondimento delle questioni giuridiche e allo studio delle nuove tecnologie e dei loro usi e implicazioni, collaboriamo con diverse testate, attività che ci stimola ad una formazione ed aggiornamento costante.

Siamo ancora all’inizio, ma con l’aspirazione di crescere, anche all’estero, rimanendo versatili, pratici, anche un po’ eclettici e innovatori.

L.I.: Quali sono oggi le “sfide” nell’ambito dell’Art Licensing in termini di protezione delle proprietà intellettuali?

G.C.d.G.: Alcune tematiche sono sempre attuali: la verifica della titolarità dei diritti, la ricostruzione dei vari passaggi, i limiti all’uso, anche di terzi. La riproduzione e lo sfruttamento economico di opere d’arte è disciplinato nel nostro ordinamento dalla legge autore e dal codice dei beni culturali, a seconda che il bene in questione rientri, rispettivamente, nel novero delle opere dell’ingegno che presentano carattere creativo o dei beni di interesse storico artistico pubbliche o private (sebbene a differenti condizioni); entrambe le normative prevedono che qualsiasi sfruttamento economico del bene tutelato sia riservato e debba essere autorizzato da chi detiene i relativi diritti.

Se un tempo gli enti che custodivano beni culturali prestavano meno attenzione al rispetto di tale normativa, recentemente tali enti si sono rivelati più attenti nel recriminare eventuali utilizzi non autorizzati del patrimonio culturale nazionale; così nel caso della censura mossa dalle Gallerie dell’Accademia di Venezia nei confronti di Ravensburger, l’azienda tedesca di giocattoli e giochi da tavolo, per aver realizzato un puzzle che riproduceva l'”Uomo Vitruviano” di Leonardo da Vinci, o nel caso della capsule collection Le Musée” dello stilista francese Jean Paul Gaultier che riproduce la “Nascita di Venere” di Sandro Botticelli, per il cui utilizzo la Galleria degli Uffizi ha rivendicato l’assenza di autorizzazione. In tutti questi casi i titolari dei diritti si sono rivolti all’autorità ordinaria (sezione specializzata in materia di impresa) per ottenere provvedimenti di urgenza per porre fine alla violazione (anche se l’accertamenti e la quantificazione dell’eventuale risarcimento del danno è stato demandato ad un successivo processo di merito che allo stato non risulta instaurato).

L.I.: Quali sono a Suo avviso le urgenze a livello europeo in termini di regolamentazione e protezione delle IP nel mondo digitale?

G.C.d.G.: Il metaverso ha aperto mondi e frontiere ancora inesplorati, per tutti i diritti IP. Ci si domanda infatti se le tutele previste per i marchi, i diritti d’autore e gli altri diritti di proprietà intellettuale, sostanzialmente uniformi nel mondo reale, possano disciplinare anche gli utilizzi virtuali. Così, ad esempio, se l’acquisto di NFT (non fungible token) comporti l’acquisizione dei diritti d’autore sull’opera incorporata? O se i diritti di marchio e di design, che nascono da registrazioni nazionali ed internazionali, pur sempre ipotizzate per contraddistinguere prodotti e servizi in un mondo “reale”, possano essere fatti valere anche nel metaverso contro usi digitali non autorizzati? O se la vendita di un prodotto nel metaverso possa costituire un atto di concorrenza sleale nei confronti del produttore reale?

Domande che, ad oggi, non hanno ancora una riconosciuta, incontrovertibile e pacifica risposta.

Anzi, sono già state promosse alcune contestazioni e cause, le cui soluzioni sono attese e potranno fornire prime, utili, indicazioni. Eclatante a livello internazionale, almeno per il clamore sollevato, è stata l’azione legale avanzata da Hermès contro un artista digitale per aver prodotto e venduto “MetaBirkins, ovvero borse virtuali – autenticate da NFT e sviluppate senza l’autorizzazione della famosa casa di moda – che copiano l’iconica borsa (questa sì reale e costosissima) Birkin. La riproduzione della forma della borsa avrebbe comportato, a detta di Hermès, la violazione dei propri diritti di marchio, di design e concorrenza sleale per agganciamento parassitario; ma il giudice (americano) adito non si è ancora pronunciato.

In Italia abbiamo già avuto una prima pronuncia in tema di violazione di marchi da parte di NFT. Il Tribunale di Roma si è infatti pronunciato il 20 luglio 2022 riconoscendo il fumus boni juris della contraffazione di alcuni marchi della Juventus Football Club S.p.A. da parte di una società che aveva prodotto e commercializzato carte da gioco digitali NFT e di altri contenuti digitali recanti la fotografia di un calciatore della Vecchia Signora con la maglia e i marchi della squadra. Nel caso in esame, il tribunale ha accolto le richieste della Juventus sulla base della notorietà dei suoi marchi, della loro registrazione anche prodotti “inerenti a pubblicazioni elettroniche scaricabili”, della presenza della squadra sui principali network e la diffusa attività di merchandising in vari settori effettuata sia tramite web che tramite store fisici, circostanze che possono indurre il pubblico a credere che i prodotti o i servizi oggetto di causa provengano dalla squadra torinese o da imprese comunque economicamente collegate alla stessa. Si tratta di una prima indicazione, in un provvedimento di urgenza e necessariamente sommario, ma che comprova, ancora una volta, la “duttilità” delle norme in tema di diritto della proprietà intellettuale, che possono trovare applicazione anche in contesti diversi da quelli originariamente ipotizzati.

L.I.: Quali le indicazioni che darebbe ai Brand Owners?

G.C.d.G.: Valutare l’estensione di tutele e registrazioni a tutti i “campi” opportuni, come ad esempio valutando di estendere la registrazione dei propri marchi anche a beni virtuali e token non fungibili (NFT), ora espressamente previsti dalla 12° edizione della Classificazione di Nizza nella classe 9, e prestare attenzione alla predisposizione di accordi sempre più puntuali e precisi.

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