Netflix e la nuova streaming war

Riprendo la newsletter di Technicismi su un tema in grande fermento: lo streaming.

Poco più di un anno fa, Riccardo Bassetto scriveva su Technicismi un approfondimento interamente dedicato a Netflix e alle sfide che si sarebbe trovata ad affrontare nel corso del 2023:

  • L’azienda usciva da un 2022 che era stato il peggior anno, dal 2011, in termini di crescita degli abbonati e in cui, per la prima volta, aveva addirittura annunciato un calo di subscriber
  • Aveva appena cambiato leadership, con l’uscita di Reed Hastings e l’insediamento dei co-CEO Ted Serandos e Greg Peters
  • Avrebbe dovuto affrontare una concorrenza spietata da parte delle altre piattaforme di streaming
  • E pure quella di altri soggetti, come TikTok (sulla cui piattaforma nel 2022 gli utenti trascorrevano più di 24 ore al mese e i cui soli ricavi pubblicitari erano già superiori ai ricavi totali di Netflix) o YouTube (il servizio in USA con il maggior numero di spettatori rispetto a qualsiasi altra rete o piattaforma: più persone stanno guardando una pubblicità su YouTube in questo momento di quante abbiano mai visto una pubblicità su Netflix…)
  • E come se non bastasse, di fronte a sé aveva un anno totalmente imprevedibile dal punto di vista macroeconomico

Nonostante tutto questo, come ha scritto The Ringer, “il 2023 è stato l’anno in cui Netflix ha dimostrato, ancora una volta di saperci fare come nessun altro”: gli ultimi dati relativi ai risultati finanziari, riportavano un:

  • aumento di 8,76 milioni di abbonati nel terzo trimestre del 2023, la crescita più alta dal secondo trimestre 2020 (quando aveva aggiunto 10,1 milioni di abbonati)
  • un’esplosione del piano che supporta la pubblicità, che cresce del 70% trimestre su trimestre (i dati assoluti ancora non li hanno condivisi)
  • Un record di candidature agli Oscar con i propri show originali

Sembra passato un secolo da quando sembrava che l’arrivo di altre piattaforme, come Prime Video o Disney+ avrebbero potuto cambiare tutto. Per Amazon l’obiettivo era creare show per le demografiche di utenti meno attive sul suo e-commerce, avvicinandole in questo modo alla “galassia Amazon” (da lì è un attimo cominciare ad acquistare su Amazon, e soprattutto cominciare a essere esposti all’adv, un business che nel 2022 ha generato $38 miliardi per l’azienda, con una marginalità superiore al 50%).

Per Disney, invece, lo sviluppo di una piattaforma proprietaria per la distribuzione dei contenuti rendeva perfettamente integrata la catena del valore e avrebbe permesso di sfruttare al massimo la proprietà intellettuale di un singolo titolo: un nuovo film della Marvel, dopo essere distribuito su DIsney+, per esempio poteva diventare oggetto di merchandising, il tema di una nuova giostra a Disneyland etc…

In questo caso, però, le cose non sono andate come previste: Disney è sotto attacco degli short seller, ha recentemente licenziato 7k persone e Disney+ è un buco nero che ha perso più di $1,6 miliardi dalle attività di streaming nei primi nove mesi del 2023 (a fronte di un aumento di soli 8 milioni di abbonati).

Ma, ora, le cose stanno cambiando ancora una volta: innanzitutto l’obiettivo, ormai da più di un anno, non è più quello di “crescere crescere crescere” ma piuttosto avere un EBITDA positivo, diventare profitable.

E poi c’è il tema dell’affollamento del settore.

Questi sotto sono dati che indicano quali piattaforme i consumatori sono più propensi a utilizzare: e in Netflix, seppur saldamente al primo posto (con una quota oltre il 17%), sta continuando a diminuire (un anno fa era a 18,2%) e Max e Hulu, rispettivamente al 15,4% e 15,3%, sono sempre più vicine.

In questo contesto, le soluzioni individuate dalle piattaforme sono 3:

  1. abbassamento dei costi: che sta portando a ristrutturazioni e licenziamenti
  2. aumento dei ricavi per abbonamento: le piattaforme alzano i prezzi o creano nuovi piani introducendo la pubblicità in piattaforma (che il founder di Netflix Reed Hastings ha sempre rifiutato ritenendola il discrimine tra Netflix e “gli altri”)
  3. aumento degli iscritti attraverso l’aumento dell’offerta di contenuti:
    1. Acquisendo anche gli show dei propri concorrenti: le piattaforme hanno interesse a rientrare più velocemente degli investimenti giganti sui propri show originali (Netflix spende circa $17 miliardi all’anno) e quindi paradossalmente concederli pure ai propri concorrenti, eliminando il vantaggio competitivo
    2. Esplorando anche una nuova offerta: Netflix, per esempio, ora sembra voler puntare sullo sport (come prima di lei hanno già fatto altre piattaforme, come Amazon Prime), prendendo in licenza il wrestling della WWE

Ma questi cambiamenti stanno rivoluzionando il funzionamento delle piattaforme. Come ha scritto The Verge, Netflix e gli altri ora hanno i film e le serie tv, hanno la pubblicità (che avevano detto che non avrebbero mai inserito) e hanno lo sport (che avevano detto che non avrebbero mai inserito).

Lo streaming, e in particolare Netflix, si sta trasformando nella vecchia televisione?

A questo Link l’articolo originale di Riccardo Bassetto

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